Ingoiata da un ventre arancione

Ingoiata da un ventre arancione.

Un tendone.

Un orfanotrofio mi dissero.

Bambini lasciati da soli.

A mangiare per terra.

Ingoiata da un ventre arancione.

Un brandello di presunta umanità

lì dove solo la disperazione sembra respirare.

Occhi smarriti.

Desiderosi di un bacio.

Mi ritrovai così,

ingoiata da un ventre arancione.

Terra strappata dalle lamiere nelle lamiere.

Signore benedici quest’acqua e questo pane.

Benedici la domanda di una carezza.

Proteggi questi teneri corpi dalla febbre e da tutte le altre malattie.

Occhi piccoli,

troppo piccoli per essere lasciati a vagare senza una guida.

Bocconi stretti

che chiedono all’esistenza di tenere duro ancora un altro giorno.

Ingoiata da un ventre arancione.

Sminuzzata.

Digerita.

Che io possa trovare la forza

di costruire per loro un approdo in alto mare.

Una casa fatta di mattoni.

E di colori.

E di speranza.

Un giardino.

Il loro giardino.

“IL GIARDINO DEI BIMBI”.

“Mamma…

Papà…

Sono nato qua.

Ed è qui che ogni tanto gioco con i miei amichetti.

Sono bravo, eh?

Quando organizziamo le gare riesco a far andare i piedi più veloce del vento,

più veloce della luce.

Non mi batte nessuno.

Sono forte io, potete essere orgogliosi di me.

Mamma…

Papà…

A volte, però, quando viene la notte mi mancate tanto.

Sono un orfano.

Fino a qualche giorno fa non sapevo il significato di questa parola.

Un bambino più grande mi ha spiegato che è quando non hai i genitori.

Allora, disteso nel letto, mi accarezzo le braccia.

Papà forse sono simili alle tue queste braccia.

E, con un dito, seguo il contorno degli occhi.

Mamma forse si somigliano ai nostri occhi.

Ma non vi preoccupate.

Io sto bene.

Adesso sto bene.

Akuna matata.

Non c’è problema.

Wageni wageni-bishwa,

Congo yetu hakuna matata”.

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